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Telefisco 2025 - Le risposte dell’Agenzia delle Entrate

19 feb 2025

Si riportano qui di seguito le principali risposte date dall’Agenzia delle Entrate in occasione dell’evento “telefisco 2025”.

Iva - Esterometro, la fattura del fornitore comunitario

Similmente a quanto chiarito dal provvedimento n. 89757/2018 e successive modifiche con riferimento agli acquisti intracomunitari di beni e servizi da indicare nel previgente «esterometro», si conferma che anche per la comunicazione dei dati relativi alle operazioni intercorse con soggetti non stabiliti, da effettuare per il tramite dello Sdi utilizzando il formato Xml previsto per la fattura elettronica, per data di ricezione debba intendersi «la data di registrazione dell’operazione ai fini della liquidazione dell’Iva».

L’articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127 del 2015, dispone che, dal 1° luglio 2022, dispone che, «b) la trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni ricevute da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato è effettuata entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello di ricevimento del documento comprovante l’operazione o di effettuazione dell’operazione». Tale previsione è allineata con i termini di registrazione della fattura di acquisto intracomunitario disposto dall’articolo 47 del decreto-legge n. 331 del 1993, secondo cui, «le fatture relative agli acquisti intracomunitari di cui all’articolo 38, commi 2 e 3, lettera b), previa integrazione a norma dell’articolo 46, comma 1, sono annotate distintamente, entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricezione della fattura, e con riferimento al mese precedente, nel registro di cui all’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, secondo l’ordine della numerazione, con l’indicazione anche del corrispettivo delle operazioni espresso in valuta estera». Stante la lettera della norma innanzi richiamata, è, dunque, evidente che la «ricezione» della fattura non può intendersi come data di «registrazione ai fini della liquidazione ai fini Iva».

Bonus edilizi - Soa per detrazione diretta dei «bonus diversi dal super bonus»

Considerando che l’articolo 10-bis, comma 2, del decreto legge 21 marzo 2022, n. 21, parla di riconoscimento degli «incentivi fiscali di cui agli articoli 119 e 121 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34», è corretto sostenere che l’impresa incaricata dell’«esecuzione dei lavori di importo superiore a 516.000 euro» non necessiti della qualificazione SOA, ai fini della detrazione diretta dei «bonus diversi dal super bonus», a meno che non si desideri optare per la cessione del credito o lo «sconto in fattura»? Solo queste due opzioni, infatti, sono considerate «incentivi fiscali di cui agli articoli 119 e 121 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34», dedicati ai «bonus diversi dal super bonus». Questa interpretazione sarebbe coerente con quella contenuta nel Dpcm del 17 settembre 2024 di attuazione dell’articolo 3 del decreto-legge 29 marzo 2024, n. 39, relativo alla comunicazione antifrode all’Enea e al Portale nazionale delle classificazioni sismiche per il solo super ecobonus e il super sisma bonus.

L’articolo 10-bis, comma 2, del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 stabilisce che, ai fini del riconoscimento del c.d. Superbonus e degli altri bonus edilizi (cfr. articoli 119 e 121 del decreto- legge 19 maggio 2020, n. 34, cd. Decreto Rilancio), l’esecuzione dei lavori di importo superiore a 516.000 euro è affidata esclusivamente alle imprese in possesso, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto ovvero, in caso di imprese subappaltatrici, del contratto di subappalto, della occorrente qualificazione “SOA” (ai sensi dell’articolo 84 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50). Al riguardo, con la circolare 20 aprile 2023, n. 10/E è stato chiarito che «In considerazione del tenore letterale della disposizione, si ritiene che le “condizioni SOA” riguardino sia la fruizione della detrazione sia l’esercizio delle opzioni di sconto in fattura e cessione del credito, relativamente agli interventi previsti dall’articolo 119 (Superbonus) e dall’articolo 121, comma 2, (bonus diversi dal Superbonus) 3 del Decreto Rilancio.».

Lavoro dipendente - Tassazione forfettaria determinata sulla base delle Tabelle Aci

In relazione alla tassazione forfettaria determinata sulla base delle Tabelle Aci ai sensi dell’articolo 51, comma 4, lettera a) del Dpr 917/1986, è stato più volte chiarito dall’agenzia delle Entrate che «è del tutto irrilevante, quindi, che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall’Aci». Pertanto, qualora il datore di lavoro sostenga a proprio carico (direttamente o mediante rimborso) taluni dei costi inclusi nelle tariffe Aci (ad esempio, carburante) relativamente alle auto assegnate in uso promiscuo ai propri lavoratori dipendenti, non emergerebbe ulteriore imponibile (eccedente il valore forfettario) in capo a questi ultimi. Alla luce di quanto precede, si chiede conferma che – avendo l’Agenzia più volte equiparato l’energia elettrica al carburante (risposta 477/2023) – il sostenimento diretto/rimborso (puntualmente e analiticamente documentato anche con riferimento alle ricariche domestiche) da parte del datore di lavoro dei costi sostenuti dai lavoratori dipendenti per la ricarica delle auto aziendali elettriche/ibride assegnate in uso promiscuo non generi ulteriore imponibile, così come avverrebbe per il carburante delle auto aziendali a motore endotermico.

Riguardo alla tassazione del rimborso delle ricariche elettriche dei veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti, l’agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti con la risposta 421 pubblicata il 25 agosto 2023, la quale, nel rinviare in via preliminare alla circolare 326/E del 23 dicembre 1997, ha ribadito che:

  • la modalità di determinazione forfettaria del valore dei veicoli a uso promiscuo da assoggettare a tassazione «prescinde da qualunque valutazione degli effettivi costi di utilizzo del mezzo e anche dalla percorrenza che il dipendente effettua realmente. È del tutto irrilevante, quindi, che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall’Aci»;
  • «il datore di lavoro, oltre a concedere la possibilità di utilizzare il veicolo in modo promiscuo, può fornire, gratuitamente o meno, altri beni o servizi, ad esempio, l’immobile per custodire il veicolo, beni e servizi che andranno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente». In linea con la predetta circolare, nella citata risposta 421/2023 è stato, quindi, chiarito che «l’installazione delle infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica e contatore a defalco) effettuata presso l’abitazione del dipendente rientri tra i beni che vanno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente e, pertanto, da assoggettare a tassazione come reddito di lavoro dipendente» e che il consumo di energia «non rientra tra i beni e servizi forniti dal datore di lavoro (cosiddetti fringe benefit), ma costituisce un rimborso di spese sostenuto dal lavoratore». Riguardo al rimborso spese, nella citata risposta è stato precisato che «in generale, le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso spese costituiscono, per quest’ultimo, reddito di lavoro dipendente, ad eccezione delle spese rimborsate nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, anticipate dal dipendente per snellezza operativa, (…) e fatte salve specifiche deroghe previste dal medesimo articolo 51, comma 5, del Tuir per il rimborso analitico delle spese per trasferte». Coerentemente con tali conclusioni, nella medesima risposta è stato sostenuto che «anche i rimborsi erogati dal datore di lavoro al proprio dipendente per le spese di energia elettrica finalizzata alla ricarica degli autoveicoli assegnati in uso promiscuo costituiscono reddito di lavoratore dipendente da assoggettare a tassazione». La risposta citata nel quesito riguarda una fattispecie diversa, relativa alla deducibilità del costo delle ricariche elettriche dal reddito d’impresa prodotto dall’agente di commercio.

Iva - Vecchio regime sanzionatorio per la fattura omessa a maggio 2024

Il decreto legislativo n. 87/2024, entrato in vigore lo scorso 29 giugno, determina una revisione del sistema sanzionatorio tributario, in attuazione dell’articolo 20 della legge delega n. 111/2023. Secondo quanto previsto all’articolo 5 dello stesso decreto, le modifiche operano per le violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024. Ciò premesso, si chiede di sapere come opera il riformato articolo 6, comma 8, decreto legislativo 471/1997 in riferimento alle violazioni “a cavallo del 1° settembre 2024”. In riferimento alle fatture omesse dal fornitore nel mese di maggio 2024 per la regolarizzazione si applica la vecchia normativa o la nuova?

L’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo n. 471 del 1997 punisce il cessionario/committente che, nell’ipotesi di omessa o irregolare fatturazione, non adempie agli obblighi di regolarizzazione/comunicazione ivi prescritti. In particolare, in caso di omessa fatturazione, in base alla disciplina vigente:

  • prima delle modifiche operate dal decreto legislativo n. 87 del 2024, decorsi quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, entro i successivi trenta giorni, previo pagamento dell’imposta, il cessionario/committente era obbligato ad emettere autofattura;
  • dopo le modifiche operate dal decreto legislativo n. 87 del 2024, entro novanta giorni dal termine in cui doveva essere emessa la fattura, il cessionario/committente è obbligato a comunicare l’omissione all’Agenzia delle entrate.

Al riguardo, si rileva che la violazione commessa dal cessionario/committente è direttamente correlata alla prodromica violazione di omessa fatturazione compiuta dal cedente/prestatore. Invero, la violazione punita dall’articolo 6, comma 8, non può configurarsi qualora non si sia verificata la predetta omissione. In ragione di quanto disposto dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 87 del 2024, la nuova formulazione trova applicazione con riferimento alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024. Ciò detto, al fine di individuare la disciplina

applicabile, occorre far riferimento alla data di commissione della violazione realizzata dal cedente/prestatore. Conseguentemente, in caso di fatture omesse nel mese di maggio 2024, opera la disciplina previgente.

Iva - Modalità di prova cessione intra Ue non modificate dal Dlgs sanzioni

Nel caso di cessioni intra unionali, a partire da quale evento (e.g. data della firma dell’acquirente sulla dichiarazione di ricevimento merce; data in cui il cedente acquisisce disponibilità del documento di prova; ecc.) può essere emessa nota di credito al fine di recuperare l’imposta versata in sede di regolarizzazione, in analogia a quanto chiarito nella risposta n. 32 del 2023 con riferimento al caso delle esportazioni c.d. indirette?

L’articolo 26 del decreto IVA stabilisce che nei casi in cui un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile “in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente”, il cedente/prestatore, entro un anno dall’operazione, ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione tramite annotazione nell’apposito registro. Con riferimento alle cessioni intra unionali l’articolo 45-bis del reg. di esecuzione n. 2011/282/UE, come novellato dal reg. di esecuzione n. 2018/1912/UE, disciplina la prova delle cessioni intracomunitarie di beni, distinguendo a seconda che il trasporto/spedizione sia curato:

  1. dal cedente o da un terzo per suo conto; oppure
  2. dal cessionario o da un terzo o per suo conto; tuttavia, la disposizione in commento non preclude agli Stati membri la possibilità di intervenire in materia individuando ulteriori prove.

Al riguardo con diversi documenti di prassi (tra tutte risposta n. 100 del 2019), cui si rinvia per ogni approfondimento, l’Agenzia ha già chiarito come è possibile provare l’avvenuta cessione intracomunitaria. Dette indicazioni risultano essere ancora attuali, nonostante le novità ai fini sanzionatori introdotte dal d.lgs. n. 87 del 2024.

Concordato preventivo - Tracciabilità e accertamenti per pagamenti oltre 500 euro

Per un contribuente, soggetto Isa, che ha garantito la tracciabilità dei pagamenti ricevuti ed effettuati relativi a operazioni di ammontare superiore a euro 500, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 127/2015 e del DM 4 agosto 2016, la proroga dei termini di accertamento prevista dal comma 14 dell’art. 2-quater del D.L. n. 113/2024 per i soggetti che hanno aderito al concordato riguarda solo l’anno 2020? E se il contribuente ha anche aderito al ravvedimento sugli anni passati, quali termini sono prorogati al 31 dicembre 2027?

L’art. 3 del D.lgs. n. 127/2015 prevede la riduzione di due anni dei termini di decadenza per l’accertamento, di cui all’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972 e all’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, per i soggetti passivi IVA che garantiscono, nei modi stabiliti con il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 4 agosto 2016, la tracciabilità dei pagamenti ricevuti ed effettuati relativi ad operazioni di ammontare superiore a euro 500. L’art. 2-quater, comma 14, secondo periodo, del decreto-legge n. 113/2024 prevede la proroga al 31 dicembre 2025 dei termini di decadenza “in scadenza al 31 dicembre 2024” per i soggetti che applicano gli ISA e che aderiscono al CPB. Relativamente all’annualità di imposta 2020, i termini di decadenza per l’accertamento scadono ordinariamente il 31 dicembre 2026. Tuttavia, per i soggetti che, per il periodo di imposta 2020, si sono avvalsi della disposizione di cui al citato art. 3 del D.lgs. n. 127/2015 (“incentivi per la tracciabilità dei pagamenti”), i termini di decadenza in parola sono anticipati di due anni (al 31 dicembre 2024). Pertanto, nei riguardi dei soggetti che applicano gli ISA, che fruiscono della riduzione dei termini di decadenza di cui all’art. 3 del D.lgs. n. 127 del 2015 e che hanno accettato la proposta concordataria si applica la proroga di cui al citato art. 2-quater, comma 14, secondo periodo, tenuto conto che per tali soggetti i termini di decadenza sono “in scadenza al 31 dicembre 2024”. Tale proroga si applica indipendentemente dalla circostanza che tali soggetti si siano avvalsi, per l’annualità di imposta 2020, del ravvedimento speciale. Nell’ipotesi in cui invece il contribuente abbia applicato gli ISA, aderito al CPB e adottato il regime di ravvedimento previsto dall’art. 2-quater del D.L. n. 113/2024, per una o più annualità tra i periodi di imposta 2018, 2019, 2020 e 2021, i termini di decadenza per l’accertamento relativi alle annualità oggetto di ravvedimento sono prorogati al 31 dicembre 2027, come disposto dal comma 14, primo periodo, del citato art. 2-quater del D.L. n. 113/2024.

Al riguardo, si fa presente che la Cassazione, con la recente ordinanza n. 28457 del 5 novembre 2024, ha chiarito che «In tema di accertamento a mezzo studi di settore, la riduzione di un anno dei termini di decadenza di cui all’art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, prevista dall’art. 10, comma 9, del D.L. n. 201/2011, presuppone la fedele esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, sicché detta riduzione non è applicabile nel caso in cui, anche successivamente allo spirare del termine ridotto, si accerti la non veridicità dei dati forniti dal contribuente». Applicando tale principio anche al caso di specie, si ritiene che la riduzione dei termini di decadenza prevista dall’articolo 3 del D.lgs. n. 127 del 2015 presuppone il rispetto dei requisiti e degli adempimenti previsti da tale disposizione e dal DM 4 agosto 2016, sicché la riduzione in parola non è applicabile nel caso in cui, anche successivamente allo spirare del termine ridotto, si accerti la l’assenza dei requisiti o la violazione degli adempimenti richiesti dalle richiamate disposizioni, con conseguente applicazione dei termini ordinari di decadenza.

Controlli e sanzioni - Costo indeducibile e reverse charge: anche l’Iva è ripresa a tassazione

Se un costo trattato ai fini Iva in regime di reverse charge viene ritenuto non inerente (ma esistente), può essere ripresa a tassazione anche l’Iva o tale contestazione concerne solo i casi di fatture inesistenti (ex articolo 6, comma 9 bis 1, e seguenti decreto legislativo 471/1997)?

Preliminarmente, si precisa che la sanzione applicabile nell’ipotesi di indebita detrazione Iva è quella di cui al comma 6 dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 471 del 1997 e non, invece, quella di cui al successivo comma 9-bis 1, che riguarda la sanzione applicabile nell’ipotesi in cui l’imposta sia stata erroneamente assolta in via ordinaria dal cedente o prestatore in luogo dell’applicazione del reverse charge.

Ciò posto, nell’ipotesi di operazione esistente da assoggettare al regime del reverse charge, ma con Iva indetraibile in quanto non inerente, si ritiene che debbano essere applicati i medesimi principi di detraibilità delle operazioni assoggettate ad Iva in regime ordinario, di cui all’articolo 19 e seguenti del Dpr n. 633/1972.

In particolare, si ricorda che ai sensi dell’articolo 19 del Dpr n. 633 del 1972, «per la determinazione dell’imposta dovuta …. è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione».

Al riguardo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 140/2022, ha ribadito che l’assolvimento dell’Iva sull’operazione mediante il meccanismo dell’inversione contabile non altera i principi sottesi all’esercizio del diritto alla detrazione da parte del cessionario, tra cui quello di inerenza, in base al quale i beni o servizi devono essere utilizzati ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta. In altre parole, il diritto alla detrazione che deriva dall’annotazione dell’Iva nel registro degli acquisti, presuppone comunque che vi siano le condizioni sostanziali – tra le quali anche l’inerenza dell’operazione – per fruirne e, qualora ne sia accertata l’insussistenza, comporta la ripresa della somma portata in detrazione, ferma, per contro, l’imposta dovuta.

Controlli e sanzioni - Sospensione rimborso Iva in presenza di un PVC

Secondo l’articolo 23 del decreto legislativo n. 472/97 nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. È possibile una simile sospensione sulla base esclusivamente del Pvc?

L’articolo 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997 dispone che:

«1. Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. La sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo.

2. In presenza di provvedimento definitivo, l’ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito».

 La citata disposizione stabilisce che se l’autore di una violazione vanta un credito verso l’amministrazione finanziaria, il pagamento di quest’ultimo può essere sospeso. Con riferimento alla possibile sospensione del rimborso Iva «sulla base esclusivamente del Pvc», la Circolare n. 19/E dell’11 agosto 1993, ha chiarito che «nel concetto di carico pendente rientrano gli accertamenti, le rettifiche, le irrogazioni di sanzioni, i processi verbali notificati e ogni altra pendenza risultante dalle informazioni dell’Anagrafe Tributaria o da altri elementi esistenti in ufficio per i quali, a norma dell’art. 69 del Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440, della contabilità generale dello Stato, è prevista la sospensione del pagamento (…). In presenza di carichi pendenti l’ufficio provvede a comunicare al contribuente la sospensione temporanea del rimborso e lo invita a definire le pendenze o, in alternativa, a garantirle a tempo indeterminato con apposita fideiussione o equivalente garanzia. La garanzia deve essere commisurata alle ragioni di credito vantate dall’Amministrazione per quanto concerne il tributo, gli interessi le pene pecuniarie e le soprattasse nella misura edittale massima ove non sia stato emesso il relativo provvedimento di irrogazione, fino a concorrenza dell’importo rimborsabile, qualora questo risulti minore del credito vantato dall’amministrazione (vedasi R.M. n. 601584 del 24.10.90 e R.M. n. 445319 del 29 luglio 91)».

Ne deriva, dunque, che il rimborso del credito può essere sospeso anche in presenza di un Pvc.

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