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Se la parte produce in giudizio un testo normativo in lingua straniera con traduzione legalizzata è compito del giudice disporre, nel caso manifesti dubbi sull’effettiva provenienza, un’interrogazione alle autorità diplomatiche e consolari. Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2605 del 4 febbraio 2025.
Il giudizio riguardava un accertamento sintetico contestato dal contribuente di origini cinesi il quale, mediante una corposa produzione documentale, riteneva dimostrata la fonte della provvista delle somme contestate.
I documenti prodotti in giudizio rientravano in due differenti categorie. Da un lato, alcuni documenti in cinese accompagnati da una traduzione in italiano recavano, in calce, il timbro del Consolato generale d’Italia a Shanghai attestante la corrispondenza fra i due testi (fra di essi, un certificato di matrimonio, un documento di una banca cinese e una dichiarazione del coniuge del ricorrente rilasciata da un notaio cinese). Dall’altro vi erano due testi aventi contenuto normativo, ossia l’estratto della legge notarile della Repubblica popolare Cinese e il regolamento sulle restrizioni al trasferimento dei capitali all’estero, anch’essi tradotti in italiano e con in calce il verbale di giuramento del traduttore.
I documenti risultavano decisivi per l’esito della controversia poiché in grado di dimostrare l’avvenuta concessione di un prestito e, quindi, la natura non reddituale delle somme contestate. I giudici di merito avevano ritenuto tali testi privi di attendibilità, disattendendo le difese della parte privata.
In caso di documentazione in lingua straniera opera, anche nel processo tributario, l’art. 122 c.p.c., in forza del quale nel processo è obbligatorio l’utilizzo dell’italiano.
Il precetto opera solamente per gli atti processuali in senso stretto e non per i documenti prodotti dalle parti: questi ultimi, anche se redatti in lingua straniera, possono ritenersi acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione.
In caso di documentazione prodotta dalla parte, dunque, il giudice dispone della facoltà, e non dell’obbligo, di nominare un traduttore nel caso voglia indagare sul contenuto di quanto attestato (nello stesso senso, Cass. 9 novembre 2022 n. 33079).
Pertanto. se il giudice non è in grado di comprendere la lingua straniera con cui il documento è stato redatto e non ripone fiducia nella traduzione offerta dalla parte, ben può provvedere alla nomina di un traduttore.